Con la risposta n. 142/2019, l’Agenzia delle Entrate risponde ad un’istanza di interpello presentata da un commerciante di accessori per autoveicoli che chiedeva se v’obbligo di emissione di fattura elettronica in caso di estrazione da un deposito Iva di merci importate da un Paese asiatico.

L’Agenzia ricorda che dal 1° gennaio 2019, come stabilito dall’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127 – sostituito dall’articolo 1, comma 909, lettera a), n. 3), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (cfr. l’articolo 1, comma 916 della stessa legge) e modificato dagli articoli 10, comma 01 e 15, comma 1, del decreto- legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 – “Al fine di razionalizzare il procedimento di fatturazione e registrazione, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, sono emesse esclusivamente fatture elettroniche utilizzando il Sistema di Interscambio e secondo il formato di cui al comma 2. […]”.

Come già ricordato nella circolare n. 13/E del 2 luglio 2018 (cfr. il punto 1.2), la decisione di esecuzione (UE) 2018/593 del Consiglio del 16 aprile 2018 ha autorizzato l’Italia ad applicare misure speciali di deroga agli articoli 218 e 232 della direttiva 2006/112/CE, al fine di consentire l’applicazione della fatturazione elettronica obbligatoria generalizzata sul territorio nazionale. In particolare, l’Italia è stata autorizzata ad accettare come fatture documenti o messaggi solo in formato elettronico se sono emessi da soggetti passivi “stabiliti” sul territorio italiano, diversi da soggetti che beneficiano della franchigia delle piccole imprese, nonché a disporre che l’uso delle fatture elettroniche emesse da soggetti stabiliti sul territorio italiano non sia subordinato all’accordo del destinatario.

Tale autorizzazione è stata pienamente recepita dal legislatore nazionale, eliminando, dall’articolo 1, comma 3, del d.lgs. n. 127 del 2015, il riferimento ai soggetti identificati (tramite identificazione diretta ovvero rappresentante fiscale), i quali non sono tenuti alla fatturazione elettronica.

Nel caso di operazioni nei loro confronti (o da essi poste in essere) che vadano documentate con fattura, questa può comunque essere elettronica tramite Sistema di Interscambio (SdI).

I depositi IVA e l’estrazione di merce negli stessi contenuta non si sottraggono alle regole generali in materia, riassumibili in:

  1. a) obbligo di fatturazione elettronica – fatte salve le eccezioni ed i divieti ricavabili dalla legislazione vigente (si vedano, in particolare, l’articolo 1, comma 3, del d.lgs. n. 127 del 2015, l’articolo 10-bis del d.l. n. 119 del 2018, nonché l’articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge n. 135 del 2018, introdotto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12) – indipendentemente dall’operazione documentata;
  2. b) esclusione dagli obblighi di fatturazione elettronica per i rapporti con soggetti non residenti o stabiliti in Italia, ferma la possibilità di procedere, in tal caso, su base volontaria.

Con specifico riferimento ai depositi IVA – ai sensi dell’articolo 50-bis, comma 1, del decreto legislativo 30 agosto 1993, n. 331, i depositi fiscali, luoghi fisici situati nel territorio dello Stato, “per la custodia di beni nazionali e comunitari che non siano destinati alla vendita al minuto nei locali dei depositi medesimi” – occorre inoltre ricordare il disposto dell’articolo 50-bis, comma 4, dello stesso d.l. n. 331, in base al quale sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto le seguenti operazioni:

  1. a) gli acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA;
  2. b) le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA previa prestazione di idonea garanzia commisurata all’imposta. […];
  3. c) le cessioni di beni eseguite mediante introduzione in un deposito I.V.A.; e) le cessioni di beni custoditi in un deposito IVA;
  4. d) f) le cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con
  5. e) spedizione in un altro Stato membro della Comunità europea, salvo che si tratti di cessioni intracomunitarie soggette ad imposta nel territorio dello Stato;
  6. f) g) le cessioni di beni estratti da un deposito IVA con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità europea;
  7. g) h) le prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche sematerialmente eseguite non nel deposito stesso, ma nei locali limitrofi sempreché, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a sessanta giorni;
  8. h) il trasferimento dei beni in altro deposito IVA.

Le operazioni descritte, quindi, che rimangono comunque oggetto di documentazione secondo la loro diversa tipologia non sono soggette ad imposta, mentre l’estrazione dei beni da un deposito IVA, anche laddove ad opera dello stesso soggetto che ve li ha introdotti, ne comporta l’assolvimento.

In particolare, “il soggetto che procede all’estrazione annota nel registro di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, una fattura emessa ai sensi dell’articolo 17, secondo comma del medesimo decreto” (così l’articolo 50-bis, comma 6, del d.l. n. 331 del 1993). Trattasi di un’ipotesi di reverse charge (cfr. la circolare n. 12/E del 24 marzo 2015, nonché, più recentemente, le risoluzioni n. 55/E del 3 maggio 2017 e n. 5/E del 16 gennaio 2018), che può dar luogo, a seconda delle varie situazioni, all’emissione di una autofattura o all’integrazione di quella ricevuta dal cedente, in cui il documento, integrato con i dati della sua registrazione, deve essere consegnato in dogana al fine di ottenere lo svincolo della garanzia prestata per l’introduzione dei beni nel deposito IVA importati in libera pratica (vedasi in proosito la nota dell’Agenzia delle dogane n. 113881 del 5 ottobre 2011).

Da quanto sopra discende che, nella normalità dei casi, a fronte della già avvenuta documentazione delle cessioni, l’autofattura sopra citata costituisce sostanzialmente un’integrazione del documento originario al fine di assolvere al debito d’imposta, non diversamente da quanto accade, in generale, nelle ipotesi di reverse charge.

Va aggiunto, tuttavia, che, in determinate ipotesi, non c’è corrispondenza tra valore del bene introdotto nel deposito e valore del bene estratto, in quanto quest’ultimo deve essere incrementato delle spese ivi sostenute e ad esso riferibili (ex articolo 50-bis, comma 6, del d.l. n. 331, il corrispettivo o valore della merce al momento dell’introduzione deve essere aumentato del costo delle prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, eventualmente rese nel deposito aventi ad oggetto i beni stessi, fermo restando che, se tali prestazioni sono state assoggettate ad imposta, il relativo corrispettivo ne è escluso).

In tale evenienza il documento emesso al momento dell’estrazione assume una funzione ulteriore rispetto alla mera integrazione di altro precedente, in quanto strumentale ad individuare il (nuovo) valore del bene estratto e la corretta base imponibile. L’Agenzia conclude, dunque, che, in tale ipotesi, l’autofattura deve seguire le regole generali ed essere, in assenza di eccezioni o divieti, elettronica tramite SdI. Le autofatture emesse per l’estrazione dei beni da un deposito IVA possono quindi, secondo la libera determinazione dei soggetti operanti, essere analogiche o elettroniche extra SdI, con obbligo di fattura elettronica via SdI nel solo caso in cui il bene, estratto dall’operatore italiano, durante la permanenza nel deposito sia stato oggetto di una prestazione di servizi, territorialmente rilevante in Italia, che ne ha modificato il valore.