Con la risoluzione N. 94/E del 13 dicembre 2013, l’Agenzia delle Entrate, in risposta ad un interpello concernente l’interpretazione dell’art. 8 del DPR n. 633 del 1972, ricorda che con la circolare n. 156/E del 15 luglio 1999 era stato precisato che per ritenere sussistente una cessione all’esportazione non imponibile “è indispensabile non solo la materiale uscita dei beni dal territorio comunitario, ma anche il verificarsi di un trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento oltre naturalmente al pagamento di un corrispettivo”.

Tale orientamento è stato confermato dalla Risoluzione n. 306/E del 21 luglio 2008, che in una fattispecie di invio delle merci all’estero senza che fosse in programma alcuna cessione, ha precisato che, in tale evenienza ,“l’invio di beni all’estero costituisce una mera esportazione “franco valuta” in cui manca uno degli elementi caratterizzanti le “cessioni all’esportazione” di cui al citato art. 8 del D.P.R. n. 633 del 1972 e cioè il trasferimento del diritto di proprietà sui beni stessi”.

Il requisito del trasferimento della proprietà – nell’ambito di una cessione all’esportazione – è stato ritenuto necessario dall’Amministrazione finanziaria anche nell’ambito dei contratti di consignment stock.

In particolare, con la Risoluzione n. 58/E del 5 maggio 2005 è stato ritenuto che anche nell’ipotesi in cui in virtù delle pattuizioni di cui al contratto di consignment stock, le merci sono inviate a destinazione di un acquirente stabilito in un paese terzo extra-UE, presso un deposito del medesimo o di un terzo cui quest’ultimo possa accedere, all’atto del prelievo delle merci dal deposito da parte dell’acquirente, si dà esecuzione alla compravendita e si realizzano i presupposti per inquadrare l’operazione come cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, primo comma, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972.

Nella predetta ipotesi di contratto di consignment stock, è stata riconosciuta, quindi, l’esistenza di una unitaria cessione a titolo oneroso delle merci in uscita, cessione che è realizzata secondo un procedimento che si perfezionerà solo in un secondo momento, all’atto del prelievo delle merci dal deposito. In tali fattispecie, l’effetto traslativo della proprietà dei beni esportati, ancorché differito – non esclude che l’operazione, unitariamente considerata – possa considerarsi una cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, primo comma, del DPR n. 633 del 1972.

La fattispecie prospettata dall’interpellante, pur non essendo riconducibile allo schema del contratto di consignment stock viene assimilata – sul piano degli effetti – a quest’ultima fattispecie. Del resto, l’invio da parte della società dei propri beni negli USA in regime franco valuta per essere successivamente ceduti al cliente statunitense, avviene in virtù dell’impegno contrattualmente vincolante assunto ab origine dalle stesse parti. Le merci, ancorché stoccate in un deposito di proprietà della controllata statunitense, di cui l’interpellante ha la disponibilità in virtù del contratto di locazione appositamente stipulato, appaiono vincolate, sin dall’inizio, all’esclusivo trasferimento in proprietà del cliente estero in relazione alle sue esigenze di approvvigionamento. Nel presupposto, quindi, che la Società interpellante possa considerarsi, al momento della fuoriuscita dei beni dal territorio UE, obbligata a vendere al cliente estero, pompe personalizzate, in aderenza al più recente orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, richiamato dalla Società (cfr. Sez. V, sentenza n. 23588 del 20 dicembre 2012), l’Agenzia ritiene che il prelievo delle pompe dal deposito per la consegna al cliente estero dia esecuzione alla compravendita e realizzi i presupposti per inquadrare l’operazione come cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972. Conseguentemente, il plafond di cui all’art. 8, comma 2, dello stesso decreto, si andrà a costituire solo nel momento e nella misura in cui le merci risulteranno prelevate dall’acquirente e debitamente fatturate dal fornitore.

Ciò nel presupposto, affermato dalla predetta pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, che sussista “il carattere definitivo dell’operazione, sicché ciò che risulta essenziale (…) al fine di evitare iniziative fraudolente, è la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine, e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero”.

A tal riguardo possono ritenersi ancora valide le indicazioni fornite con risoluzione n. 520657 del 4 dicembre 1975, secondo cui il collegamento tra i beni inviati all’estero in franco valuta (per specie, qualità e quantità) e quelli ceduti secondo gli accordi contrattuali potrà essere dimostrato, come prospettato dall’istante, mediante:

– annotazione in un apposito registro, tenuto ai sensi dell’articolo 39 del DPR n. 633 del 1972, delle spedizioni dei beni all’estero, riportando per ciascuna annotazione gli estremi del documento di esportazione;

– indicazione nella fattura di vendita, emessa al momento della consegna dei beni all’acquirente, della corrispondente annotazione del registro relativa ai medesimi prodotti.

Allegati:Agenzia Entrate – 2013 – Risoluzione – 94E – 13122013